Un omaggio alla storia di Castellabate e del Sud attraverso la dimensione
mediterranea dei suoi dipinti ariosi e luminosi, che ben s’armonizzano
con l’incantevole paesaggio del golfo di Salerno, che possiamo
ammirare dalle finestre del castello.
L’arte è lavoro progressivo, ricerca costante di nuove
forme, di nuove realtà che gli artisti di volta in volta
propongono. La critica d’arte ha il compito di registrare
tali novità che, poi, finiscono col tessere la ricca trama
della storia dell’arte, cioè la registrazione nel tempo
delle fratture, delle novità e delle persistenze dei linguaggi
artistici. A questa legge nessun artista sfugge e anche nell’opera
di Nino Aiello possiamo registrare un mutamento sostanziale della
propria poetica pittorico-coloristica, pur nella sostanziale continuità
tematica e fedeltà all’intimissimo rapporto tra l’essere
umano e la natura.
E’ vero, invece, che la cultura visiva da cui trae prepotentemente
ispirazione affonda le proprie radici nella cultura fiamminga, che
tanta importanza ha avuto nella civiltà rinascimentale europea
ed italiana, passando, poi, per la pittura di paesaggio olandese
dei secoli XVII e XVIII e per tutta la variegata e complessa pittura
impressionista, fino ad arrivare a noi. Ma definire con un termine
la ricerca coloristica, percettiva e visiva di Aiello significherebbe
sminuirne il suo spirito, la sua cordialità, il suo profondo
rispetto per la natura; significherebbe ridurre e offendere la sua
creatività, sigillandola in un improbabile universo linguistico
che non appartiene alla libera creatività artistica, ma a
una pseudo-critica d’arte non rispettosa dei valori etici
e pittorici proposti in modo evidente dal pittore.
In tal modo ogni elemento vive in simbiotico rapporto con gli altri;
ogni fiore è autonomo, ha una propria vita e vive di una
propria luce, ma è partecipe della vita e della luce di ciò
che lo circonda. In un colpo di pennello, in un semplice e intuitivo
gesto, in un semplice particolare, in un solitario fiore o in una
foresta di foglie vi si legge un universo segnico che si rivela
e si confronta con la nostra coscienza la quale, poi, riconosce
nelle forme e nei colori dipinti i colori dell’anima dell’artista,
i colori della sua sapiente arte.
La parola che forse esprime meglio l’universo pittorico e
coloristico delle grandi tele di Nino Aiello è “rivelazione”
perché l’universo della sua arte diventa poesia coloristica
come rivelazione segnica di una natura che si offre, umile e semplice
nella sua grandezza, attraverso le sottili trame che sottendono
l’esistenza stessa del Creato. E la grandezza dell’arte
è proprio nella rivelazione del mondo, un mondo variegato
e complesso e una natura mutevole e cangiante, attraverso gli occhi
disincantati di un artista che sa vedere nel profondo dell’intimità
umana quella briciola di verità che sottende la nostra travagliata
esperienza di vita. Quindi, al di là delle “sottili
osservazioni” dei critici d’arte, parlare di naturalismo
o di realismo del linguaggio pittorico e stilistico di Nino non
ha alcuna giustificazione, così come sarebbe puerile parlare
di “panismo” pittorico. La pittura di Aiello, infatti,
sfugge a qualsiasi etichettatura imbrigliatrice perché essa
è essenzialmente frutto di un moto interiore che fa vibrare
le corde dell’animo creatore. Quello che noi vediamo non è
altro che la restituzione di questo moto creativo, profondo, interiore,
in forme, colori e rigorose costruzioni generali delle immagini
dipinte. Per questo la sua arte, la sua poetica pittorica, non può
risolversi in un semplice slogan critico: l’arte di Aiello
semplicemente è. Essa esiste nello spazio della nostra realtà
e vive con noi e dentro di noi, ci accompagna e partecipa al nostro
vissuto quotidiano.
Omaggio a Castellabate (Sa) Opere Cilentane di Nino
Aiello
Gerardo Pecci
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